sabato 24 settembre 2011

L'antipolitica

Il termine antipolitica è entrato prepotentemente nel nostro lessico quotidiano.
A volte è usato per affermare una pigrizia, un'assenza o una passività a volte una netta contrapposizione alla sfera politica del nostro essere "società".
In entrambi i casi l'uso che viene fatto è comunque negativo.
Volendo, però, sfuggire ad una semplicistica polemica contro le tante parole, spesso volgari, che le "anime belle" (giornalisti, politici, professionisti della comunicazione, accademici, burocrati) pronunciano quotidianamente, vorrei proporre un percorso che permetta, a mio parere, di sfumare i toni esasperati ed esaltare un'"energia interna" che anima le mille "tribù" rappresentanti di questa vituperata antipolitica, siano essi movimenti, comitati di quartiere, gruppi studenteschi, associazioni ecologiste, ecc..
Il mio intento non è di esprimere un giudizio di valore, al quale sarei istintivamente portato, ma di evidenziare questa "energia interna" aiutandomi con concetti che formano il nucleo centrale del pensiero di Maffesoli.
Inizierei partendo dalla riflessione del sociologo francese sulle diverse libidines (desideri profondi che guidano l'azione umana).
Al predominio della libido dominandi (brama di potere e controllo su noi stessi e sul mondo) e della libido sciendi (energia mirante alla conoscenza), di norma sempre alleate in quanto dominare è conoscere e viceversa, si contrappone la libido sentiendi (energia mirante a sentire, a provare che si alimenta di una prossemia sempre più evidente).
Maffesoli parla di una reviviscenza di un'erotica sociale, un orgiasmo diffuso (libido sentiendi) che, appunto, non può essere concepita da una libido dominandi/sciendi per le quali, in forma parossistica, importa il potere, il politico, il controllo, l'ordine per indirizzare l'uomo a quella società perfetta, versione laica della "Città di Dio" giudaico-cristiana.
Questo connubio fra libido domindandi e sciendi esprime un'energia rivolta ad un futuro prossimo raggiungibile attraverso un altro mito moderno: "il Progresso senza fine" legato a doppio filo ad una crescita economica illimitata.
La sclerotizzazione della forma-istituzione (politico/economica/tecnologica), esplosa con la modernità, innesca, inevitabilmente, un ritorna ad un'energia "ctonica" (terrestre) che si interessa a ciò che si sente, che si prova, che si respira.
Alla società che si è rivolta verso "la Storia da fare" subentrano comunità che consumano energia creando e ricreando una socialità appannata da decenni, se non secoli, di "Progresso" (la gabbia d'acciaio di Max Weber).
Maffessoli scrive:
"Così, nei nostri paesi democratici, ciò che le anime belle chiamano sviluppo dell'antiparlamentarismo (aggiungo io dell'atipolitica), è forse solo una resistenza nei confronti della libido dominandi che anima la vita pubblica, o ancora, una saturazione del gioco politico che è considerato solo in virtù di ciò per cui conserva un interesse: le sue performance teatrali". [1]
Quando la divisione tra il nostro vissuto quotidiano e la politica, che dovrebbe esserne una sua espressione, si rende incolmabile si riattiva il livello profondo della potenza " che deve permettere di superare la pesantezza delle costruzioni economiche e sociali e così facendo di ristrutturare una nuova totalità che lo Stato razionalizzatore, o ogni altra istituzionalizzazione, aveva troppo irrigidito" [2]
"E' questa opposizione fra il potere estrinseco e la potenza intrinseca su cui bisogna riflettere (...) cosa che ci obbliga a configurare la saturazione del potere (del politico) nella sua funzione proiettiva e l'emergere di quella potenza che muove in profondità la molteplicità delle comunità sparse, frammentate (...) da parte mia, vi vedo una struttura antropologica che, attraverso il silenzio, l'astuzia, la lotta, la passività, l'umore o la derisione, sa resistere con efficacia alle ideologie, agli insegnamenti, alle pretese di coloro che intendono dominare o fare la felicità del popolo" [3]
Si badi bene che, in questo mio argomentare, il fine, lo scopo, l'oggetto per il quale ci si riunisce in comunità, anche se dall'esterno sembra essere essenziale, ha un'importanza secondaria (sia esso la lotta per la salvaguardia della sopravvivenza delle balene, la petizione per l'illuminazione di una strada pubblica, la raccolta firme per un referendum).
Quello che mi preme evidenziare è un sentire comune, un'"energia intena", un "divino sociale" (Durkheim), un appartenenza alla "comunità di destino" (Morin), un vitalismo che cozza contro una statica, una ragione astratta, un "potere istituito" che vive e si alimenta solo di se stesso.
Assistiamo, così, alla sostituzione di un sociale razionalizzato con una socialità a dominante empatica.(Maffesoli)
Il disordine che sembra invadere le nostre strade è anch'esso una risposta ad un ordine che ormai opprime non armonizzando più un sociale che per sua natura è dinamico.
"In ciascuno di noi, e quindi nella società, c'è una dimensione maledetta, una parte di male che deve essere in qualche modo gestita. Nell'idea del potere c'è anche la cinica condivisione di questa dimensione malefica. La politica infatti ha la funzione di assorbire, gestire ed eventualmente ridistribuire il male presente nella realtà. Oggi però il potere pretende di incarnare solamente il bene. Vuole essere buono e morale. Si presenta come una potenza del bene che impone il suo ordine dappertutto (...) ma così facendo, procede per espulsione, escludendo qualsiasi elemento esterno che rischia di rimmetterlo in discussione (...) il mondo naturale scompare" (Baudrillard)
Nelle assemblee, nella roccalta firme, nelle manifestazioni, nei gruppi che si formano sui social-netwok possiamo, inoltre, vedere il ritorno del "rito".
Il "rituale" che, come ormai è stato evidenziato da  schiere di antropologi e sociologi, non è finalizzato, nel senso di orientato verso uno scopo, ma ripetitivo e rassicurante permette alla comunità di ricordare il suo essere "corpo" esaurendo e rigenerando un'energia che unisce.
Quindi, per concludere, in questo nostro difficile tempo, dobbiamo, a mio parere, cercare di essere attenti e ricettivi agli umori, ai sapori, a quello che si sente nell'aria, ai sentimenti, barbarici o angelici che siano, abbandonando facili moralismi e razionalizzazioni ai quali il pensiero occidentale è da sempre incline.


[1] [3] Il tempo delle tribù - Maffesoli - Ed. Guerini studio
[2] Estratti tratti da Un mondo a spirale - Fabio D'Andrea - Ed. Bevivino editore

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